
I figli del capo: come vengono vissuti dai collaboratori?
I figli del capo: come vengono vissuti dai collaboratori?
10 OTTOBRE 2025
di Erika Delfi
Quando si parla di passaggio generazionale in azienda, l’attenzione si concentra spesso sulla preparazione dei figli dell’imprenditore, sulle loro competenze, sulle strategie di continuità e sull’equilibrio tra tradizione e innovazione. Ma c’è un altro aspetto fondamentale, troppo spesso trascurato: come vengono percepiti e vissuti dai collaboratori?
L’ingresso dei figli del fondatore in azienda è un momento delicato, che può generare emozioni contrastanti tra i dipendenti. Da un lato c’è la speranza che portino nuove energie, idee fresche, modernizzazione. Dall’altro, può emergere una naturale diffidenza: sono lì per merito o per diritto di nascita?
Spesso, soprattutto nei primi tempi, i figli del capo si trovano a dover affrontare un pregiudizio implicito: devono dimostrare il doppio per essere riconosciuti come legittimi leader. I collaboratori possono guardarli con sospetto, domandandosi:
• “Avrebbe ottenuto quel ruolo se non fosse figlio/a del titolare?”
• “Ci capisce davvero?”
• “Ha mai fatto la gavetta?”
Queste domande, legittime dal punto di vista umano, possono minare la fiducia reciproca, a meno che non vengano affrontate con intelligenza e trasparenza.
Essere “figli del capo” non è sempre una posizione comoda. Al contrario, può comportare un peso psicologico notevole. Devono trovare il proprio spazio tra chi li ha visti crescere, chi li confronta continuamente con il genitore, e chi aspetta un passo falso per dire: “Te l’avevo detto.”
Molti di loro vivono il paradosso di dover dimostrare di non essere privilegiati, pur beneficiando oggettivamente di una posizione favorevole. Questa tensione li porta, spesso, a sovraccaricarsi di responsabilità, a voler cambiare tutto subito per affermare la propria identità, o al contrario, a restare troppo nell’ombra del fondatore.
Ma se è vero che i figli del capo hanno un compito difficile, è altrettanto vero che i collaboratori giocano un ruolo cruciale nella riuscita del passaggio generazionale.
Accoglierli con apertura, giudicare più i fatti che i preconcetti, fornire supporto costruttivo senza cedere a dinamiche paternalistiche o, peggio, sabotaggi silenziosi, è fondamentale.
In molte aziende italiane, soprattutto nelle PMI familiari, i collaboratori storici sono i custodi della memoria aziendale. La loro disponibilità a condividere esperienza, valori e cultura d’impresa con la nuova generazione può fare la differenza tra una transizione serena e un conflitto latente.
Il passaggio generazionale dovrebbe essere vissuto come un’opportunità per rigenerare la leadership, non come una semplice eredità da trasmettere. Ma questo richiede lavoro, da entrambe le parti:
• I figli del capo devono mostrarsi umili, competenti, capaci di ascoltare, pronti a imparare prima di comandare.
• I collaboratori devono essere disposti a fidarsi, a dare credito, a partecipare al cambiamento.
Solo così si può passare da una leadership imposta a una leadership riconosciuta.
In conclusione
La vera domanda non è solo “i figli del capo sono pronti?”, ma anche:
“Noi siamo pronti ad accoglierli, a collaborare con loro, a costruire insieme il futuro dell’azienda?”
Perché un’azienda non è solo una struttura organizzativa, ma una comunità fatta di persone, relazioni, storie. E in ogni passaggio generazionale, c’è bisogno di tutte queste componenti per continuare a crescere.
Erika Delfi a dir poco eccellente, puntuale, preparata, mette il cliente a proprio agio, otre ad un coinvolgimeto a 360° gradi, con la sua professionalità entra a far parte dell'azienda, nell'analizzare anche il micro dettaglio di ogni minimo particolare, molto attenta a percepire il problema e a capire come risorverlo, molto professionale con spiegazioni molto semplici che fa capire molto bene il problema e la soluzione, oltre ad essere sempre disponibile è molto importante anche il suo approccio interpersonale e empatico, sempre pronta ad ascotare e a dare spipegazioni e soluzini.
Voto su una scala da 0 a 5 è assolutamente 5
Quando si parla di passaggio generazionale in azienda, l’attenzione si concentra spesso sulla preparazione dei figli dell’imprenditore, sulle loro competenze, sulle strategie di continuità e sull’equilibrio tra tradizione e innovazione. Ma c’è un altro aspetto fondamentale, troppo spesso trascurato: come vengono percepiti e vissuti dai collaboratori?
L’ingresso dei figli del fondatore in azienda è un momento delicato, che può generare emozioni contrastanti tra i dipendenti. Da un lato c’è la speranza che portino nuove energie, idee fresche, modernizzazione. Dall’altro, può emergere una naturale diffidenza: sono lì per merito o per diritto di nascita?
Spesso, soprattutto nei primi tempi, i figli del capo si trovano a dover affrontare un pregiudizio implicito: devono dimostrare il doppio per essere riconosciuti come legittimi leader. I collaboratori possono guardarli con sospetto, domandandosi:
• “Avrebbe ottenuto quel ruolo se non fosse figlio/a del titolare?”
• “Ci capisce davvero?”
• “Ha mai fatto la gavetta?”
Queste domande, legittime dal punto di vista umano, possono minare la fiducia reciproca, a meno che non vengano affrontate con intelligenza e trasparenza.
Essere “figli del capo” non è sempre una posizione comoda. Al contrario, può comportare un peso psicologico notevole. Devono trovare il proprio spazio tra chi li ha visti crescere, chi li confronta continuamente con il genitore, e chi aspetta un passo falso per dire: “Te l’avevo detto.”
Molti di loro vivono il paradosso di dover dimostrare di non essere privilegiati, pur beneficiando oggettivamente di una posizione favorevole. Questa tensione li porta, spesso, a sovraccaricarsi di responsabilità, a voler cambiare tutto subito per affermare la propria identità, o al contrario, a restare troppo nell’ombra del fondatore.
Ma se è vero che i figli del capo hanno un compito difficile, è altrettanto vero che i collaboratori giocano un ruolo cruciale nella riuscita del passaggio generazionale.
Accoglierli con apertura, giudicare più i fatti che i preconcetti, fornire supporto costruttivo senza cedere a dinamiche paternalistiche o, peggio, sabotaggi silenziosi, è fondamentale.
In molte aziende italiane, soprattutto nelle PMI familiari, i collaboratori storici sono i custodi della memoria aziendale. La loro disponibilità a condividere esperienza, valori e cultura d’impresa con la nuova generazione può fare la differenza tra una transizione serena e un conflitto latente.
Il passaggio generazionale dovrebbe essere vissuto come un’opportunità per rigenerare la leadership, non come una semplice eredità da trasmettere. Ma questo richiede lavoro, da entrambe le parti:
• I figli del capo devono mostrarsi umili, competenti, capaci di ascoltare, pronti a imparare prima di comandare.
• I collaboratori devono essere disposti a fidarsi, a dare credito, a partecipare al cambiamento.
Solo così si può passare da una leadership imposta a una leadership riconosciuta.
In conclusione
La vera domanda non è solo “i figli del capo sono pronti?”, ma anche:
“Noi siamo pronti ad accoglierli, a collaborare con loro, a costruire insieme il futuro dell’azienda?”
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